1 Settembre 2016
Di
Federica Verona

Cascine con vocazione sociale, sportiva, contadina e culturale, case scultura e luoghi per la musica. Tra Linate e L’ortica.

Ortica

La Cascina Monluè, nel ricordo dei milanesi è associata ad una serie di gruppi musicali underground che, in passato, si andava a vedere in concerto. Una rassegna musicale durata molti anni ha accompagnato le estati musicali dei più giovani, fino circa al 2008. Poi, per problemi di vicinato, la rassegna si è interrotta. Ma oggi, in Monluè che si fa? A raccontarcelo Romolo Dell'Angelo dell'associazione La Fabbrica e Fabrizio Belletti, vicepresidente de La Grangia di Monluè e presidente di Centesimus Annusdue associazioni che si occupano di migrazione. La prima è nata 30 fa e l’altra poco dopo. Con il loro lavoro si occupano di richiedenti asilo attraverso due strutture, una vicino all’abbazia, con 25 posti letto e l'altra in una scuola di 92 posti. 

Fabrizio, ci guida verso uno spazio bellissimo, da poco ristrutturato, noi prendiamo qualche sedia, ci mettiamo in circolo e iniziamo ad ascoltarlo. Ci racconta che la Cascina, è abbandonata da anni. Il Comune l’ha tenuta in gestione per un periodo facendo eventi e festival, ma i vicini si sono lamentati. All'epoca la gestione era dell’Arci ma il comune, qualche anno fa, ha messo a bando le cascine, e così loro, che operano nel terzo settore, hanno costituito una associazione di scopo con altri soggetti e hanno ottenuto di gestire la cascina per i prossimi 99 anni.

Ma quale sarà allora il futuro di Cascina Monluè, chiediamo. C'è la loro comunità che si occupa di ragazzi diversamente abili, Lo Specchio che è una cooperativa di lavoro per ragazzi diversamente abili, Farsi Prossimo che farà accoglienza per giovani non accompagnati e La Grangia che realizzerà una micro comunità di terza accoglienza. Inoltre ci sarà un florivivaista che darà lavoro ai disabili e poi l’Orchestra Allegro moderato, una ensemble di portatori di handicap, sono circa 60 elementi. Attraverso tutte queste attività insieme vorrebbero far nascere il borgo di Monluè, facendolo diventare una cittadella della solidarietà non un ghetto ma un luogo di apertura non di chiusura.

Proprio per interagire con il territorio, vogliono aprire attività come un bar, che serva il vicinato. Lì a pochi passi, ad esempio, ci sono gli studi della Rai. E' un progetto enorme, certo, e ora servono i finanziamenti per realizzare il tutto. Gli chiediamo di raccontarci come è nata "la Grangia", 30 anni fa. Fabrizio ci racconta che è stata una delle primissime case di accoglienza volute dal Cardinale. I primi migranti dall’Albania, dalla Romania venivano ospitati lì.

Tutt'ora si occupano dei ragazzi senza permesso di soggiorno, ci racconta che vivono in una sorta di limbo, rischiano la depressione e lo sforzo che fanno loro è quello dell’accompagnamento dal punto di vista burocratico, e poi organizzano anche attività sportive. L’ultimo progetto “Correre insieme” ad esempio teneva insieme basket, calcio, pallavolo. Hanno creato una squadra e organizzato tornei con squadre miste e il territorio ha risposto con attenzione. Loro fanno riferimento al Decanato e all’Unità pastorale di Viale Ungheria, Ponte Lambro, Via Salomone. Dei punti critici della città dove effettivamente le complessità sociali esistono. Ponte Lambro è cambiato molto negli ultimi anni, Via Salomone rimane invece un ghetto dove si tenta di intervenire. 

Fabrizio ci dice che ora hanno iniziato a collaborare con tutte le zone non solo con zona 4, facendo serate di sensibilizzazione. Non è facile, fare questo lavoro, quando arriva il decreto di espulsione spesso tocca mandare via persone preziose con cui si è creato un rapporto e il sistema davvero non funziona, perchè lavori con un materiale umano fino a raggiungere dei risultati importanti e poi, arrivato il decreto di espulsione, di fatto si butta via il progetto e i soldi con cui è stato finanziato. Ha dell'assurdo.

Loro cercano comunque di coinvolgere i ragazzi nella quotidianità. Ci racconta del sottopasso della tangenziale, ad esempio, che fa da collegamento con il quartiere, qualche anno fa era un luogo poco raccomandabile, poi con l’avvento della casa che loro gestiscono quel luogo è migliorato. Il via vai degli ospiti ha disturbato i traffici di droga e i ragazzi contribuiscono a tenere pulita la zona, immersa nel verde.

E' il momento di ascoltare Romolo, lo abbiamo conosciuto perchè ci ha contattato via mail qualche tempo fa raccontandoci la loro attività. E' interessante perchè Romolo e Fabrizio prima non si conoscevano, siamo felici di avere creato questo ponte, proprio perchè speriamo possa essere magari l'inizio di nuove cose.

L’Associazione "la Fabbrica" è una di quelle realtà che utilizzano la cascina occasionalmente. Nata come associazione di volontariato giovanile, promuove progetti in tutte le zone periferiche di Milano da 6 anni, in particolare organizzano una 4 giorni di concerti e sport accessibile una volta all'anno. Sono giovani, volenterosi, e credono molto in quello che fanno. Perchè in Monluè gli chiediamo? Perchè fino a 15 anni fa era il punto di ritrovo dell’estate cittadina dei Milanesi, ci dice Romolo, poi c’è stata l’ordinanza con le lamentele degli abitanti e tutto è finito. Così la associazione La fabbrica ha puntato un po’ i piedi chiedendo di riavere ancora quello spazio garantendo il rispetto di una serie di regole. E' così che "Sport in Monluè" è ormai un evento consolidato che avviene in giugno, e attiva un network di circa 800 associazioni riconosciute nel comune di Milano. Da quella sportiva, alla Caritas, a Emergency con l'obiettivo di creare scambio di conoscenza reciproca tra realtà, per migliorarsi, per migliorare. Il tema che accomuna tutte le loro iniziative è lo sport accessibile alla disabilità: scherma in carrozzina, calcio per non vedenti, giornate integrate dove anche il normo dotato può mettersi in carrozzina e giocare con gli altri sperimentando nuove dinamiche sociali.

La Fabbrica è una realtà totalmente autogestita e autofinanziata, solo quest'anno in è arrivato un piccolo contributo dal Comune tramite il Consiglio di zona 4, di cui vanno fieri. L'associazione tessera persone dai 16 ai 40 anni, i membri sono circa 60 e tutti molto attivi. 

Dopo una lunga chiacchierata, facciamo il giro della Cascina. Andiamo a visitare la sede de la Grangia e incontriamo le suore e i loro ospiti. Ci immergiamo in un orto meraviglioso e curato. Ma prima di ripartire per il prossimo incontro andiamo a visitare la Cascina, incontriamo un gruppo di amici che ogni anno si riunisce per ricordare un amico scomparso tempo prima, uno di loro ci guida in tutta l'area e ci consiglia un posto ottimo dove andare a pranzo. Facciamo il giro del parco, fino al sotto passaggio. La Tangenziale taglia la città, creando una sorta di confine invalicabile.

Il Portico, ristorante pizzerie di Piazza Ovidio è il luogo che scegliamo per il pranzo. Pesce, risotti e fritture abbondanti ci provano, Diletta viene applaudita perchè finisce un piatto di risotto enorme. Così dopo un po' di frizzantino serve un ottimo caffè per tenerci gli occhi aperti. Prossima destinazione? CasciNet. CasciNet è un posto che non ti immagini, un pezzo di campagna vicinissima alla città. Un posto semplice, didattico, dove ti verrebbe voglia di smettere di essere adulto e giocare come quando avevi 5 anni. Vorresti correre, fare gli esperimenti con la terra, giocare con la canna dell'acqua.

Infatti appena arriviamo veniamo investiti da un gruppo nutrito di boy scout urlanti di diverse età. Li seguiamo e Duccio, che ci accoglie, ci riunisce a cerchio e fa un breve sunto sulla storia della Cascina. I bimbi sono incuriositi, li filmiamo mentre fanno la gara di grida più forte, così una bimba si avvicina e si scrive sulla mano www.iosonosuper.com “come si chiamano questi qua?” dice all'amica, per poter controllare se pubblicheremo il filmato. 

I ragazzi se ne vanno e noi ci accomodiamo in ingresso con Duccio e Amalia. La prima cosa che ci raccontano di  Cascina Sant’Ambrogio è che quando l’agricoltore che in cascina lavorava, li ha portati a scoprire la ghiacciaia dove metteva al fresco la verdura d’estate prima di portarla all’Orto mercato, hanno notato un piccolo particolare: un’abside di una cappella del 1100 con affreschi del 1300.

La chiesa era stata fatta per delle monache che poi sono tornate al loro convento e il luogo ha trovato nell’agricoltura un modo per sopravvivere. La famiglia Gorlini si è occupata della cascina fino al 2012. I ragazzi di CasciNet cercavano uno spazio loro e guardavano le cascine come luogo di aggregazione nelle periferie. La loro idea era ed è quella di ricucire spazi periferici per il benessere della città. Hanno capito che le cascine potevano essere la risposta in occasione di Expo e nel 2012 hanno mandato un progetto al Comune che gli ha proposto di scegliere un luogo. Così, i 4 sognatori del gruppo iniziale sono diventati 12 sognatori che hanno girato le 63 cascine iscritte al sito del comune. Visitando la Cavriana trovano l'unica cascina che non era in lista. Per questo l’hanno scelta. La famiglia Gorlini è ben contenta di lasciargliela ma a condizione che loro coinvolgano il nipote, Paolo Gorlini. Paolo era da anni un loro caro amico e questo lo vedono come un segnale assolutamente propiziatorio. Così sono partiti con il progetto. Hanno riattivato gli spazi che erano sporchi e abbandonati da circa 40 anni e il viaggio ha avuto inizio.

L’associazione si è costituita, il progetto di restauro della cappella è stato approvato in 12 giorni, hanno finanziato il restauro per circa 100.000 euro e ora stanno continuando a chiedere finanziamenti, ci dice Duccio, perchè non si può vivere solo con le feste. Amalia ci racconta il loro motto delle "4 C": convivialità coprogettazione contaminazione e comunità. Lei vive lì da settembre e dice che è un esercizio meraviglioso quello del ricreare le dinamiche comunitarie con amici di tutte le età e le tipologie. Essendo lei cuoca sogna di aprire un ristorante in CasciNet ed è davvero un progetto in atto che tra poco si realizzerà.

Ora i soci sono 240 ma operativi una cinquantina. Solo Amalia vive li, in comodato d’uso ma in cambio lavora per riqualificare gli spazi al piano di sopra. Ha un alloggio temporaneo per 6 mesi. Oltre a sistemare l'alloggio una parte di tempo la dedica all'associazione.

Ci raccontano dei progetti che hanno in attivo. Il primo con 60 ortisti, una piazza coltivata dove ci si conosce e si impara a volersi bene come una grande famiglia. C’è un sistema in cui chi vuole richiede un pezzetto di terra, pagando solo 5 euro al mq annuo per l’acqua e si coltiva rigorosamente con il metodo dell’agricoltura sinergica. Poi hanno aperto un co-working con una start-up che si occupa di realtà aumentata.  E tra un po’ arriverà la ristorazione per tenere alta la sostenibilità sociale del progetto. Perchè è diverso assegnare uno spazio in affitto che fare direttamente il ristorante. Si scontrano, dice Duccio, con norme e burocrazia, figuriamoci con la ristorazione a cosa andranno incontro!

La cosa interessante di CasciNet è che tutto si basa sullo scambio. Si offrono gli spazi in cambio di un contributo da zero a 5 euro per ogni partecipante. Chi vuole dare un aiuto può utilizzare lo spazio in modo gratuito uno scambio di ore lavoro invece di economie e soldi. Si sono resi conto che è la manodopera che costa tanto e quindi il tempo che ognuno dedica è prezioso. Ad esempio grazie al Festival degli illustratori hanno risolto il problema della facciata dove verrà realizzato un disegno che il festival lascerà a loro. Anche i ragazzi scout vanno a fare piccole imprese, in questo momento stanno costruendo un forno con il quale a fine mese faranno autofinanziamento preparando la pizza per tutti. L'evento giustificherà l'impresa e il forno rimarrà a CasciNet.

Mentre noi ascoltiamo Duccio e Amalia, qualcuno di noi raccoglie la storia di Celestino, un assiduo frequentatore del CasciNet e grande lavoratore. Se la volete leggere la trovate qui.

Riprendiamo il nostro cammino e ci avviamo verso via Corelli, costeggiamo il CPT, ed entriamo in una strada piccolissima un po’ nascosta, arrivando in una zona di loft. Parcheggiamo, facciamo il giro, ed entriamo in una piccola porticina rossa, di legno, strana. Da lì inizia questo viaggio un po’ surreale dentro ad uno spazio di ferro e legno, di sculture e nicchie, di silenzio, attrezzi e oggetti di design. Duilio Forte, il proprietario di questo eclettico atelier, ci fa accomodare, ci lascia liberi di esplorare lo spazio senza parlare. Un po' ci perdiamo, non capiamo dove siamo, da dove siamo entrati. Fino a quando non ritroviamo Duilio vicino ad un tavolo scultura, ovviamente realizzato da lui. Ci sediamo, lui sta in piedi.

Ci racconta che abitava li vicino e conosceva i proprietari che stavano li. Lo spazio era da sistemare, gli serviva un luogo per lavorare. I proprietari volevano vendere tutto il complesso, ma poi hanno frazionato, allora ha preso un pezzo.La prima domanda del pubblico è: "hai realizzato un tuo sogno di bambino in questo posto?". Duilio spiega che lo ha messo a posto accettando una sfida. Non è una costruzione che nasce da zero ma piano piano pezzo pezzo, come una sorta di pelle costruita addosso. Originariamente era un complesso industriale che ha smesso di lavorare negli anni 60. Piccoli laboratori, magazzini, e lui piano piano si è sistemato tutto in 18 anni. Il cantiere non è chiuso è un lavoro continuo. Duilio Forte lavora nel campo delle installazioni, dai piccoli oggetti alla land art. E’ laureato in architettura ma non fa l’architetto. Dal punto di vista teoretico lo è ma l’architettura è un’altra cosa, di dice. Lavora legno e ferro, materiali semplici e comodi. Quello spazio non è la sua casa, è il suo laboratorio e show room. E’ un posto difficile da trovare, ma è stato pubblicato e facilmente identificabile.

Per la definizione architettonica di quello spazio serve congiungere gli elementi di cui è fatto, come in una sinfonia. Non si possono estrapolare delle note perchè si perderebbe il senso totale. In Triennale di recente ha estrapolato una stanza dove si capisce l’idea di spazio. Con lui lavorano dei ragazzi che lì fanno lo stage e poi organizza molti workshop. Quando insegnava alla Naba faceva spesso lezione lì e ogni tanto organizza degli spettacoli teatrali aperti al pubblico. Gli piace molto interagire con altri soggetti e con le altre discipline. Alcuni spettacoli teatrali ad esempio, vengono ispirati dallo spazio stesso. Perchè per lui è imortante esplorare campi che non conosce. Ogni tanto ci sono serate a tema, spettacoli sulla antologia scandinava perché Duilio è mezzo svedese.

Duilio è davvero eclettico, dai video costruisce sculture in legno di due metri. Esplora il visivo, il materico e lo scultoreo ma ha anche una macchina da cucire e una camera oscura. Si muove da una cosa all’altra in maniera creativa lasciandole riposare per poi tornarci. Gli chiediamo cos'è "periferia" per lui, ci dice che la periferia esiste per definizione da quando esiste l’uomo, la cultura, e se esiste il centro esiste per forza anche la periferia. Nel campo della città, in una Milano radiocentrica, abbiamo la zona 1 che è una micro città dentro la città. Prima i quartieri erano a forma di triangolo. Oggi ci sono i quartieri del centro, e i quartieri che hanno un po’ di centro e un po’ di periferia. Ma è il quartiere del centro che decide il sindaco. E poi la città di Milano si sta ingrandendo, Milano arriva fino a Lecco e Como, potrebbe essere la più grande città di Europa ma è smembrata in una miriade di piccoli comuni che rendono tutto difficile nelle scelte strategiche. E poi, nel momento in cui la periferia diventerà importante ci saranno altre periferie.

Ad esempio, ci dice, è interessante il parco orbitale di Milano un anello di 70 km frammentato e che potrebbe essere un trait de union. E siccome una cosa esiste quando la identifichi Duilio la identificherebbe con le ore dell’orologio con gradi. "immagina che bello,  per andare andare al parco orbitale devi muoverti di 333 gradi a nord o a sud". E anche in questo caso però un centro servirebbe.

Ci dice che ora forse stanno facendo il ponte per andare sul Lambro che da lì, dove abita lui, a oggi è invalicabile. Il progetto faceva parte di un concorso di circa 18 anni fa e lo aveva vinto uno spagnolo. Ma non è un progetto così difficile, dice, potremmo farlo anche noi, con un po' di inventiva e fantasia, non è che ci vogliono 800 anni. Ma Milano è fatta a barriere. Spesso gli interventi sono fatti in modo da bloccare l’accesso da uno spazio all’altro. Per andare in Forlanini devi fare un giro assurdo, non si capisce come mai, ad esempio, in mezzo c’è una ferrovia che blocca tutto. Come la tangenziale, zone vicine che alla fine sono lontane. La città radiale anche concettualmente non è attraversabile. Ci dice che quando hanno fatto l'elevato ferroviario hanno tagliato via Ortica in maniera netta, era la vecchia Rivoltana, una via importantissima. Ma non ci hanno pensato.

Dobbiamo salutarlo per l'ultima tappa di un 

tour impegnativo, molti racconti, tappe dislocate e lontane tra loro, siamo quasi in chiusura e ci dirigiamo verso il Serraglio, un nuovo locale di musica live. Ad accoglierci Giorgio Prette, batterista (ex Afterhours, oggi Todo Modo) ma soprattutto è socio di questa nuova avventura. Ci vede provati, e fa una cosa per cui non possiamo essergli che molto molto grati. Si dirige verso il bar e spina una birra per ognuno, poi ci porta a fare un giro.

Lo spazio è grande e molto bello, si respira una buona energia. Tutti si stanno preparando per la serata, un live di varie band locali. Fuori nel cortile, dei food tracker anni 50 pronti per essere assaliti dagli avventori affamati di salamella

E' l'ora di montare cavalletti e videocamere, Giorgio chiama anche Roberto ci sistemiamo su alcuni sgabelli, e iniziamo con il chiedere loro di raccontarci cosa li ha portati all’Ortica e perché.

Roberto è stato il fondatore della Casa 139 un circolo arci nato nel 2000 in Via Ripamonti. Una scommessa perché era fuori mano rispetto agli altri locali. Ma con il tempo è diventato un luogo particolare e di riferimento legato alla musica live, fino al 2008.  Ad un certo punto però è nato il figlio di Roberto e così si è trasferito in Brasile, e sempre per suo figlio è tornato in Italia, per farlo studiare ci dice. Tornando ha deciso di parlare con Giorgio e Andrea, l'altro socio, e si sono inventati Il Serraglio e subito sono partiti a cercare un locale che facesse al caso loro. Roberto è nato vicino all'Ortica e ama questa zona perché é un piccolo paesino. Giorgio aggiunge che è un posto perfetto per aprire un locale anche perché l'Ortica è legata musicalmente e storicamente a gruppi di valore.

Gli chiediamo cosa serve fare per aprire un locale, e la prima regola è che è importante avere vicini non troppo "vicini", oltre che un buon parcheggio a disposizione e per questo una zona industriale è l’ideale.

Ma dopo 16 anni come è cambiato l’approccio della gente? Fare musica è più difficile? Roberto dice che dopo anni di assenza ha trovato una differenza pazzesca rispetto soprattutto all'uso dei social. Un mondo diverso che non gli piace molto, non la vede una cosa migliorativa perché perde l’identità di quel che si fa nonostante la forza della comunicazione. Quando c’era la Casa 139, siccome il locale era credibile, era un punto di riferimento, l’evento era preso in considerazione dalle riviste di settore che ne parlavano, ma ora con Facebook tutti si sono abituati alla parola "evento" senza differenziare e capire quanto sia importante invece la qualità. Il Serraglio sta cercando la sua visibilità in maniera diversa, più umana, vogliono provare a uscire dal canone eventistico cercando di farsi un nome, coinvolgendo una clientela che abitudinariamente frequenta il locale. Certo, ci vuole un po' di tempo, e di impegno. E già ad oggi hanno molti tesserati, ma magari non sono le stesse persone che tornano, sono sempre diverse. Quando c'era La Casa 139, i musicisti e gli attori di teatro, ad esempio, si ritrovavano in quel luogo frequentandolo con costanza. 

Gli chiediamo come mai hanno scelto di chiamarlo "Serraglio" Roberto e Giorgio ridono, si guardano e ci spiegano che è per la definizione stessa della parola: "esposizione di animali rari" è perfetto no? ci dicono. In effetti non possiamo che concordare. Hanno aperto il 29 novembre ma il 10 dicembre è avvenuta l’inaugurazione vera. Il Serraglio, ci raccontano, è un luogo per i live, è vero, ma anche per tante attività dedicate al quartiere. La struttura ha puntato molto sulla qualità dell’accoglienza a livello umano ma anche sulla qualità acustica. Giorgio ha molta esperienza in merito a locali e sa quanto sia difficile suonare ma anche ascoltare i live di qualità.  L’investimento più alto del Serraglio è stato infatti proprio su questo, sull'acustica. Il progetto poi è nato come uno spazio multifunzionale, l’altro capannone non fa parte del locale ma è stato pensato come un valore aggiunto per poter programmare e realizzare eventi espositivi, workshop e non per forza connessi con la parte che ospita le attività serali. Uno spazio flat che può essere adattato ad ogni evento. Set fotografici, video, eventi aziendali, mostre, mercatini workshop, corsi per bambini adulti e anziani. Un luogo che oltre ad ospitare buona musica diventa anche una forma di integrazione aperto a target molto diversi.

Il concerto sta per iniziare, un'ultima foto a Giorgio e Roberto e ci muoviamo verso l'ultima tappa. La cena. Su consiglio di Giorgio, andiamo all'Ortica 27 e finiamo in meraviglia questa lunga giornata.