2 Novembre 2016
Di
Federica Verona

Via Padova tra l’orto condiviso, un luogo di preghiera, il teatro di quartiere, un parco per bambini e il social housing

Via Padova

L’appuntamento del nostro nono tour estivo è tra Via Padova e Viale Palmanova, in uno spazio sorprendente che è difficile notare se si passa di lì in macchina, spesso a tutta velocità andando al lavoro o tornando dalla Tangenziale.

Un orto condiviso. A raccontarcelo è Franco che insieme ad altri amici ci mette l’energia e la passione quotidiana per coltivarlo e farlo crescere.

Fissiamo cavalletto e videocamera e il racconto parte, mentre ci guardiamo attorno ancora increduli per questa oasi di verde in pieno grigio città. L’orto nasce in seguito ad una delibera comunale sollecitata da un gruppo di cittadini già protagonisti del primo orto comunitario del Trotter, ci racconta Franco, una delibera che ha di fatto sollecitato la nascita di vari ortisti. Oggi sono 13 gli orti comunitari in città. Ma gli orti di via Padova nascono esattamente nel febbraio del 2014 in uno spazio di circa 2000 metri quadri. Era una discarica abusiva da più di vent'anni che hanno ripulito in sei mesi e arredato recuperando i cassoni che contenevano il mais esposto in ExpoGate per expo. Li avrebbero buttati, ma erano 400 cassoni di ottime dimensioni per essere riempiti di terra e coltivati, ne hanno tenuti loro solo 90, gli altri sono stati distribuiti in città.

All’inizio erano in pochi a lavorare nell’orto, ma poi il Parroco della parrocchia di San Crisostomo, li ha invitati a raccontare il loro progetto dopo la messa. Così lo hanno fatto, informando i parrocchiani che durante la notte sarebbero arrivati 90 cassoni con del mais e proposero a tutti di passare il lunedi mattina, giorno di mercato. Fu lì che gli orti presero davvero vita! All’inizio non avevano nemmeno l’acqua, gliela prestavano i vicini coalizzati e felici di dare una mano. Perchè, dice Franco, il parcheggio da quando ci sono loro è diventato più sicuro. La concessione scadrà loro a febbraio 2016, in questo periodo inizieranno a muoversi, sarebbe davvero un peccato se venissero cacciati.

Gli chiediamo come funziona l’orto, ci spiegano che per coltivarlo è necessario fare richiesta a Legambiente così si può essere coperti da una assicurazione. Chi è nuovo viene guidato da Franco, Vittorio, Francesco o Jacopo. Loro sono più esperti e sanno dare delle indicazioni su quello che serve fare. Ci si divide il lavoro e gli ortaggi prodotti si mangiano insieme oppure si dividono. Gli iscritti sono una quarantina, ma l’orto, ci raccontano, ha proprio una funzione sociale. Arriva la vecchietta che ha bisogno di compagnia, le famiglie che portano i figli e gli amici degli amici.

Ogni tanto si fa qualche aperitivo, e l’obiettivo è quello di promuovere una delle realtà capace di esprimere il lato bello di Via Padova, mica è solo delinquenza! La loro rete è davvero ampia, dagli scout, ai volontari di Legambiente, hanno ottimi rapporti con la Casa della cultura islamica che li ha appoggiati insieme alla parrocchia. Stanno investendo molto sulla bellezza di questo luogo, ci spiegano che per loro la bellezza è una cosa importante ed è importante soprattutto nei luoghi dove ci sono più problemi, nella periferia! Parola che a loro non piace, perchè quello per loro è il centro del mondo! Facciamo un giro e ci mostrano tutto quello che coltivano. Fino alle api, anche le arnie sono state recuperate da un progetto di design del Fuorisalone. Stavano per buttarle e loro le hanno recuperate. Oggi il Mauro Veca, grande apicultore che con Super incontreremo alla volta di Quarto Cagnino, si prende cura degli alveari e lavora a mani nude. Se le api lo pungono è perchè non le ha trattate abbastanza con delicatezza, ci spiegano.

Li salutiamo, per affrontare la prossima tappa, dove abbiamo appuntamento con Gas del Sole, Amici del parco Trotter. Gli orti condivisi sono un posto unico, li salutiamo dispiaciuti perchè è una di quelle realtà dove vorresti mollare tutto e infilarti dentro la terra fino a quando non cala il sole. Ma l’agenda è serrata, così inforchiamo le biciclette e partiamo.

Siamo molto curiosi di ascoltare la realtà del Trotter, uno dei parchi più attivi di Milano e con moltissime attività dedicate a famiglie e in particolare ai bambini. Ci sediamo all’interno di uno dei cortili vicino alla cascina dove stanno facendo dei lavori di ristrutturazione.

Inizia Paolo, del Gas del Sole. Il gruppo, ci racconta, è nato nel 2008 su iniziativa di alcuni cittadini del quartiere e famiglie della scuola interna al parco. L’idea era quella di costituire un Gruppo di Acquisto Solidale, che oggi conta circa cento famiglie iscritte, che oltre a fare ad acquistare e condividere i prodotti, potesse fare dei progetti insieme ai produttori. Hanno da subito partecipato alla festa di Via Padova e hanno iniziato a promuovere iniziative di miglioramento di alcune aree in abbandono. Ad esempio, nel parco, insieme ad un gruppo già esistente e un po’ informale e che aveva creato il primo giardino comunitario di Milano, è stata fatta una iniziativa di guerrilla gardening per riqualificare le piante e coinvolgere i ragazzi delle scuole.

Il Gas, naturalmente, ha poi un suo specifico per cui il grosso dei progetti li fanno insieme ai produttori. Hanno partecipato al "Progetto Energia" organizzato dai  Gas milanesi che ha finanziato in proprio la costruzione di un impianto fotovoltaico in cooperazione con un produttore coinvolgendo Retenergie. Ma hanno collaborato molto anche con realtà non milanesi. Ad esempio hanno lavorato su Rosarno, creando dei ponti da lì.

Poi collaborano con Ri maflow, che è una fabbrica occupata che ha creato la sua cooperativa, un suo Gas e un'associazione che si chiama Fuori Mercato assieme ad altri gas di Baggio. Facendo rete hanno creato una piattaforma logistica che esiste e sta funzionando anche economicamente. Infine, come suggerisce Grazia, il progetto della scuola, dove hanno creato un piccolo Gas con i ragazzi delle scuole medie.

Paolo ci dice che hanno solo un rammarico, quello di non riuscire a coinvolgere fette di popolazione in maniera completa perchè comunque è una filiera per alcuni troppo cara. Ci stanno lavorando per capire come fare, come raggiungere anche chi ha meno possibilità.

Certo, ci spiegano, coinvolgere i ragazzi può essere un buon inizio. Ad esempio, spiega Grazia, il progetto della scuola media del Trotter e della Casa del Sole è stato portato avanti a partire dal concetto di sovranità alimentare e i ragazzi hanno costituito un proprio Gas con il quale acquistano per esempio prodotti per farsi le merende. Il che vuol dire veramente entrare in una dinamica culturale fin da piccoli.

Gli chiediamo di raccontarci un po’ come funziona il parco scolastico: il parco è fondamentalmente la Scuola fino alle 16:30.  Non si può entrare perchè ci sono attività per i bambini hanno accesso solo i genitori e il personale amministrativo, gli insegnanti o chi ha un motivo molto particolare. Invece dopo le 16:30, il sabato e la domenica, il parco diventa invece pubblico anche se la sua funzione prioritaria è quella scolastica.

Il parco ex Trotter poi, si chiama così perché prima di diventare San Siro, il luogo per eccellenza della corsa dei cavalli, le gare si facevano lì. I giornali e i documenti ricordano addirittura di mitiche gare tra Buffalo Bill e altri. Queste cose accadevano quando Turro era fuori dalla cerchia della città, era periferia!

Nel 1919 l'allora sindaco socialista Giuseppe Caldara di Milano impostò una ricerca sociale dalla quale venne fuori che tantissimi bambini delle periferie milanesi erano non tubercolotici ma a rischio tubercolosi perché vivevano nei “bassi”, i bassi c'erano anche a Milano, non c'erano solamente a Napoli. La tubercolosi dopo la prima guerra mondiale era una patologia sociale molto diffusa che colpiva soprattutto le casi popolari, allora fu concepito un grande progetto  di prevenzione, di profilassi pubblica, che consistette nel fatto di trasformare il Trotter in una scuola all'aperto sulla base di esperienze analoghe che erano nate nell'Europa del Nord e soprattutto negli Stati Uniti d'America. Una scuola in cui i bambini fossero  messi in grado di imparare facendo e quindi collegandosi anche all'attività degli orti, dell'agricoltura, della manualità, della gestione degli animali e quant'altro e venne fuori il progetto di una scuola speciale che non era riservata ai ragazzi tubercolotici ma piuttosto ai ragazzi di costituzione gracile- C’era un convitto che ospitava 100 maschietti e 100 femminucce  con tanto di certificazione medica. Erano tutti bimbi provenienti dalle classi umili della zona. Questa vocazione all'inclusione, all'innovazione, alla sperimentazione di forme didattiche capaci di valorizzare il sapere,  la conoscenza e la personalità dei bambini, in qualche modo con tante difficoltà con tante deficienze ma questa cosa in qualche modo si è mantenuta anche oggi.

La storia ce la racconta uno degli insegnanti. Ci dice che loro promuovono molte attività all’aperto per fare attività di osservazioni scientifiche o di altra natura utilizzando gli alberi, utilizzando il verde e utilizzando alcune strutture specifiche che sono: La Fattoria la "stanza delle scoperte". Anche Bruno Munari che, a cavallo tra la fine del Novecento del secolo scorso e gli inizi di questo secolo, con gli insegnanti ha lavorato su una nuova concezione di patrimonio museale dove i bambini erano creatori degli oggetti da mettere nel museo e nello stesso tempo fruitori e  gestori. Poi ci sono tante iniziative per gli esterni: è un posto anche che si può frequentare perché un pomeriggio a settimana di tutto l'anno scolastico si svolgono le letture animate, laboratori dove i genitori della scuola piuttosto che abitanti del quartiere, spesso musicisti attori artisti animano delle letture in doppia lingua per cui ci sarà magari un genitore di lingua cinese che legge una storia cinese nello stesso tempo un altro genitore italiano o un ragazzino italiano leggerà la stessa storia in lingua italiana e spesso questi adulti vengono portati dai bambini della scuola che sono bambini appunto di provenienza di  varie famiglie di altre culture che chiamano i genitori a venire a leggere le storie nella propria lingua quindi con un effetto poi a ricaduta su altri progetti come appunto "Lo spazio socialità" e "Parole in gioco" e questo è proprio il risultato anche degli intrecci di questi progetti.

Molte di queste attività nascono su iniziativa degli Amici del parco trotter, un'associazione nata nel 1994 da docenti e genitori della scuola e che per statuto accoglie anche i docenti quando diventano “ex”, i genitori quando diventano “ex genitori” e i cittadini del quartiere. Uno strumento per interfacciarsi con le problematiche, i bisogni e le necessità del quartiere e per porsi come punto di riferimento rispetto al tessuto sociale circostante in fortissima trasformazione, perché negli anni 90 è iniziata la trasformazione socio-culturale di Via Padova.

Salutiamo i nostri ospiti e ci muoviamo con le biciclette verso un luogo importante, e che tutti abbiamo una gran voglia di scoprire. La Casa della Cultura Islamica dove ci accoglie l’Imam Asfa Mamohoud. Ci togliamo le scarpe all’ingresso ed entriamo in un ex capannone dove è allestita la moschea. “Come vedete è un ex capannone, tanti lo chiamano la Moschea, ma lo è solo quando scatta l'ora della preghiera in realtà è un capannone. Il Comune di Milano non ha ancora dato quel foglio, la carta che ci dà il permesso di costruire un luogo di culto degno per la comunità”. Così inizia il racconto. Si adeguando a questa situazione da più di venticinque/trent'anni. Lì si fanno le preghiere giornaliere. Sono cinque preghiere e la preghiera collettiva del venerdì viene fatta a turni perchè sono in tantissimi.

Dopo aver visitato la moschea, ci accomodiamo in ingresso in una piccola anticamera. Ci sediamo e ci stringiamo attorno a l’Imam. Non abbiamo moltissimo tempo perchè sta per iniziare la preghiera. Ma per loro non è un problema, piano piano arrivano gli uomini, mentre le donne si siedono vicino a noi nell’attesa.

A Milano, ci spiega, ci sono 100.000 mussulmani che ancora non hanno una vera moschea dove pregare, fanno molte attività non solo le preghiere ma anche altro, durante il Ramadan, ad esempio,  nell'ora della rottura del digiuno, mettono duecento pasti a disposizione per chi si trova in difficoltà, raccolgono il cibo da un ristorante poi saldano quello che è stato consumato. Si finanziano grazie alle donazioni che vengono messe in due cassette. Ci dice che è il loro tesoro, loro non hanno, come si dice nei giornali, finanziatori del Qatar, dell’Arabia Saudita, ma dipendono dalla loro comunità, dai fedeli che frequentano la sede. 

Il venerdì arrivano persone provenienti da quasi trentacinque nazioni, musulmani da tutti i paesi, dal Pakistan, dall'Afghanistan, dall'Egitto, dall'Algeria, dalla Tunisia, dal Medio Oriente e dal primo giorno di esistenza alla Casa della Cultura si dice la preghiera in italiano, è un segno di integrazione, anche un messaggio per la nostra comunità. All’inizio non tutti capivano, ma è un modo per imparare la lingua del posto in cui si abita. All’interno della loro comunità, inoltre, spiegano la Costituzione italiana, è un lavoro lungo di integrazione. Lo spazio in cui stanno, ci dice, è temporaneo, sono in affitto e sotto sfratto perchè il proprietario vorrebbe vendere. Per cui la situazione è davvero precaria.

Hanno ormai in questi anni costruito un ottimo rapporto con il quartiere, con le altre associazioni. Insieme hanno fondato la "Rete di vivere meglio a Milano" ma anche la festa di via Padova quando si faceva, le conferenze stampa delle 70 associazioni si facevano alla Casa della Cultura, nella loro sede. C’è un grande rapporto di amicizia, di collaborazione, ma anche di rispetto. Hanno un buonissimo rapporto con la chiesa San Giovanni Crisostomo che è la  più vicina. Noi siamo soliti fare foto, attratti dal fascino di quel posto continuavamo a scattare. Uno di noi si è avvicinato all’armadio delle scarpe: “Vi prego, non fate le foto alle scarpe! I giornalisti lo fanno sempre, ma non  è bello!”.

Gli chiediamo di raccontarci come hanno visto cambiare Via Padova. Ci racconta che i problemi della via sono storici. In particolare da quando via Arquà, Leoncavallo sono state lasciate dagli italiani. Per cui per gli immigrati che arrivavano all’epoca era facile trovare casa a poco. Negli ultimi anni ci sono stati cambiamenti importanti, perchè sono rinati i negozi che altrimenti sarebbero rimasti vuoti. Così i lavoratori ma anche gli studenti, hanno cambiato la via in modo positivo. Anche se alcuni problemi rimangono comunque. Come nel caso dell’omicidio di Via Padova, nel 2010. Quando ci fu un accoltellamento, così è esploso un problema sociale e il Comune all’epoca non ha fatto molto, ci dice, ha agito solo con la sicurezza e l’esercito nelle strade. Ma non trovando soluzioni reali ai problemi e ai conflitti.

Purtroppo Milano con le giunte passate ha abbandonato tutta via Padova al suo destino, non ha mai fatto un progetto per l'integrazione, nell’epoca Pisapia qualcosa è cambiato. Hanno fatto progetti di vario tipo anche in Moschea. Ad esempio hanno ospitato una mostra di fotografie sulle famiglie miste di tutto il quartiere, E' la prima volta che in una moschea si mettono le fotografie. E’ stata un'iniziativa molto bella e partecipata.

Purtroppo la promessa di Pisapia, ci racconta, di risolvere il problema della moschea non è andata a buon fine, è tutto bloccato di nuovo. Poi, ci dice "i nostri politici ci conoscono quando ci sono le elezioni,  ogni giorno arrivano almeno 20/30 chiamate. Poi non ti salutano più". Con Pisapia, spiega, ad esempio è stato fatto un buon lavoro, si era impegnato. Ma ora è tutto bloccato. Gli chiediamo se pensa utile una presenza in consiglio Comunale della comunità islamica. Ci dice che è una cosa positiva, ma non crede che questo convincerà i membri a far passare il progetto. Pur avendo avuto alcune occasioni per poter, loro, acquistare lo spazio, hanno deciso di aspettare una decisione del Comune per poter avere uno spazio da loro messo a disposizione e che sono pronti a ristrutturare. Chiaramente anche partecipare al bando comunale è stato un costo molto alto. Circa 40.000 euro tra architetti, avvocati e consulenti.

Al centro passano moltissimi studenti ogni giorno, perchè vogliono fare una tesi di laurea sul integrazione, sul dialogo, sul mondo del Islam, sull'economia islamica. loro forniscono materiali in inglese, in arabo, pochi i libri in italiano perché i libri in italiano riguardanti l'islam sono pochissimi. Hanno promosso e promuovono costantemente incontri, ad esempio hanno fondato il Forum di tutte le religioni a Milano con Don Giampiero Alberti negli anni 90. Anche oggi si incontrano ogni due mesi.

Con la chiesa di San Giovanni Crisostomo hanno creato un bellissimo rapporto, una volta li invitano a mangiare da loro una volta vanno loro in chiesa. Hanno anche fatto una giornata intera con le famiglie portando ognuno il suo piatto. I ragazzi hanno fatto una partita di calcio, una partita di pallavolo, hanno passato una giornata insieme, ci racconta l’imam, ed è stata una bellissima esperienza. Lui è di origini giordane, e l’idea di creare questo rapporto di fratellanza tra le religioni per lui è importante. Quando andava alla scuola superiore, che era nel centro della città andava in una via dove c'è una chiesa e una moschea, una accanto all'altra, proprio di fronte e quando passava di lì vedeve che nel piccolo bar, il prete e l'imam prendevano il tè insieme, parlavano, litigavano, ma con amicizia. Così quando è  arrivato a Milano ho lavorato per ricreare quella stessa immagine Inevitabilmente finiamo a parlare degli allora recenti casi di terrorismo. Gli chiediamo se questo ha influito nella loro quotidianità.

Ci spiega che loro sono abbastanza colpiti da come i mass media riescano a legare con facilità terrorismo e Islam. Ma loro ogni volta che succede qualcosa sono in prima fila a condannare la violenza e il terrorismo. Ci spiega quanto l’Islam sia una religione di pace, chi si fa saltare in aria, nei sobborghi di Parigi non ha idea di questo.

Inizia l’ora della preghiera. Si leva il canto del Muezzin e noi rimaniamo completamente affascinati da quel luogo. Li lasciamo alle loro funzioni, ci rimettiamo le scarpe e ce ne andiamo. E' l'ora del pranzo, quale miglior posto se non il sudamericano del Trotter, facciamo carico di Cheviche, Pollo frito, torte rosa improbabili. Michele azzarda anche con una Inka Cola e ci dirigiamo verso il parco per una pausa come si deve. Il cibo è troppo, ce lo dividiamo.

Decidiamo di andare a prendere il caffè nella pasticceria turca, consigliataci la mattina all’orto di Via Padova, ma lì il caffè non lo fanno, è un bar di cinesi a salvarci Si riparte, verso il teatro Tac Ci Dispiace non poter incontrare l’anima del teatro che è Ornella Bonvetre, al telefono era dispiaciutissima di non averci potuto accogliere, ma degli impegni di teatro l’hanno portata in centro Italia proprio quel giorno. Al suo posto ci ha accolto Bedo che, una volta entrati, ci ha fatto accomodare in uno spazio bellissimo, quello del circo per bambini, nel cortile. Una volta seduti in centro, dentro ad un set d’eccezione, è iniziato il racconto.

Il teatro è all’altezza di via Atene tra Via Padova e il quartiere Adriano. Un appartamento di più piani riadattato a teatro. Tac Teatro a chiamata, ci dice Bedo, è innanzitutto una compagnia teatrale ideata nel 2011, dopo di che nel 2015 ha deciso di trovare un posto dove fermarsi e fare attività che non fossero solo teatrali ma fare un piccolo centro culturale in via Padova. Hanno conosciuto la proprietaria della vecchia fabbrica dove ci troviamo e che era in disuso da vent'anni, si fabbricavano le leghe metalliche la “Omodeo Metalleghe” . L’hanno sitemata e hanno iniziato a pensare ad attivare tante attività culturali.

Soprattutto è un teatro che propone spettacoli, due al mese, il venerdì e il sabato e poi ci sono tante altre attività che ruotano intorno: piccoli cineforum, piccoli concertini, presentazioni di libri, tutto ciò che può essere fondamentalmente “cultura”. Poi ci sono anche le sale prove per chi vuole, per le compagnie teatrali che hanno pochi soldi da spendere ad esempio. Perchè il Tac cerca anche di essere un posto dove la gente può fare delle attività senza spendere troppo, e al giorno d’oggi non è poco. Sono tutte attività fatte, come dice Ornella che è  la direttrice e la fondatrice del posto, con logiche fallimentari … nel senso che  non è che si guadagna mai molto ma quel che si fa lo si fa con grande passione, racconta Bedo. Sorridiamo, ma capiamo che tra passione e solo business, c’è una grande differenza.

Il Tac sta diventando pian piano anche un punto di riferimento per il quartiere. Ci sono anche dei corsi di teatro sia per adulti che per bambini con seduta teatrale, in più un corso di percussioni e uno di  pianoforte e questo lentamente ha fatto interagire il quartiere, tant'è che molte mamme di bambini che fanno il corso di teatro han chiesto loro di tenere i bambini durante il campus estivo, perché il Tac è un bel posto, e i bambini si trovano bene.

Per caso hanno trovato il posto in via Padova però se avessero dovuto scegliere uno dei quartieri in cui farlo, via Padova sarebbe stato uno di quelli perché è un luogo particolare nel senso che è ancora fatto di comunità più attive che in altre parti.

Al Tac vive solo Ornella, gli altri sono tutti volontari, qualcuno è arrivato a fare un corso di teatro e poi da lì si è fermato perchè ha trovato un ambiente molto accogliente. Bedo, ad esempio, viene dal mondo dell’associazionismo e prima gestiva un circolo all’Ortica, quando è arrivato gli è piaciuto lo spirito del luogo e così si è fermato. I membri attivi sono cinque o sei e poi c’è il mondo che ruota attorno al Tac, in generale chi passa si ferma e da una mano per costruire qualcosa e anche grazie all’aiuto di chi è passato il posto è stato risistemato. Quando sono arrivati infatti l’edificio era in totale stato di abbandono.

Il rapporto con il quartiere e con il Comune è iniziato da poco ma è sempre più coinvolgente, hanno investito molto tempo per rendere quello spazio accogliente, quindi all’inizio non c’è stato molto tempo ma è una delle priorità del presente e del futuro. Prima la compagnia non aveva una sede, o meglio, aveva uno spazio all’Arci Turro, avere uno spazio a disposizione è davvero meglio. Ad esempio stanno instaurando un rapporto con le scuole, perchè molti dei bambini che frequentano i laboratori del teatro, facilitano il contatto con le scuole

Al Tac si fanno molti tipi di teatro, ma proprio perchè il teatro ha mille sfaccettature, quindi si fa il teatrodanza, il teatrocanzone, il testo di prosa, ad esempio hanno avuto un duo dove c’era teatro musicale che raccoglieva dialetti di tante parti d’Italia, oppure c’è uno spettacolo di prosa, ma ci sono anche spettacoli più canonici. Ornella è la direttrice ma è anche una regista teatrale, spiega Bedo, e la cosa più particolare è che cerca sempre di utilizzare tutti gli ambienti in cui lo spettacolo si può muovere. Così viene utilizzato il foyer, le sale, il cortile e il pubblico viene trasportato lungo lo spazio. Anzi, le compagnie sono proprio invitate ad attivare questa forma di coinvolgimento.

Ci sono due tipologie di pubblico, le persone del quartiere che passano e vedendo le locandine si incuriosiscono, si iscrivono alla mailing list e quindi frequentano il Tac in base al loro interesse. Oppure ci sono gli spettatori legati alle compagnie. Bedo, finite le chiacchiere, ci porta a fare un giro, una stanza dopo l’altra, ci racconta degli spettacoli fatti, ci infiliamo sotto, dentro ad un bunker vero e proprio, dove fanno delle performance e poi entriamo in uno spazio voltato con i binari a terra dove fanno delle mostre. Un potenziale incredibile che pezzo pezzo stanno mettendo insieme, un posto da tenere d’occhio, perchè è appena nato e ha una umiltà incredibile volta al confronto umano con il quartiere.

Salutiamo Bedo e ci dirigiamo verso Via Padova 36, il progetto di social housing, ultima tappa della giornata. Arriviamo davvero in ritardo, ma Rossella molto gentilmente ci aspetta. Intanto parla con gli inquilini e ascolta tutte le loro richieste. Appena la vedono, ci spiega, la rapiscono letteralmente parlandole fitto fitto di ogni cosa.

Entriamo nell’atrio in uno spazio molto bello e curato, un vecchio condominio perfettamente ristrutturato. Ci sediamo nelle panchine della corte interna e Rossella inizia a raccontarci il progetto. E’ nato grazie ad una co-progettazione di una serie di attori a partire appunto dalla Fondazione Cariplo, la Fondazione Housing Sociale e Investire SGR che precedentemente si chiamava Polaris  Real Estate e ASM che è l'impresa sociale il cui acronimo sta a significare Abitare Sociale Metropolitano. Il progetto è nato dall'idea di Fondazione Cariplo di occuparsi del tema dell'abitare. Il palazzo, oggi condominio, apparteneva esclusivamente ad un unico soggetto, Marco Mantovani, nonché scultore di questa città che ha nella parte interna del cortile il suo laboratorio e anche la sua parte museale. Una volta morto il proprietario tutto è stato lasciato alla Veneranda Biblioteca Ambrosiana che poi ha deciso a sua volta di vendere l’immobile.

a Polaris Real Estate che, una volta presentato un progetto agli abitanti già residenti nel condominio, ha iniziato un processo di ristrutturazione. Nel Luglio 2014 è entrato il soggetto "Abitare sociale metropolitano" di cui fa parte Rossella, che acquista i due corpi scala e anche i due spazi negozi sul lato di Via Padova, costruendo un'attività di tipo economico sociale in un quartiere che era abbastanza sotto pressione, portando anche un valore aggiunto rispetto all'idea che anche nei quartieri più danneggiati una proposta di una progettualità bella, condivisa potesse decollare. Chiediamo a Rossella com’è composto il condominio, tra un abitante che entra e uno che esce, fermandosi a salutare incuriosito.

C’era una popolazione anziana già presente. Poi il progetto di social housing è stato aperto a famiglie giovani, famiglie monoparentali, mamme con bambini, papà separati che hanno bisogno di una locazione per poter accogliere bambini. Il 50% sono abitanti italiani e il 50% sono stranieri e vengono dallo Sri Lanka e dal Bangladesh, ma sono anche di origini albanesi, africane, sudamericane. Tutti sono affiuttari e i canoni sono agevolati la media degli affitti è di 78 euro a metro quadro annuo. Più o meno un monolocale, comprese le spese condominiali, costa meno di 500 euro, La selezione degli inquilini è avvenuta attraverso la pubblicazione di un bando rimasto aperto 30 giorni e in 30 giorni hanno ricevuto 156 domande di colloquio, i colloqui li faceva Rossella, con una selezione poi operata sulla base di criteri di 56 domande, in base al reddito ma non non solo. In particolare la scelta è avvenuta anche sulla sensibilità mostrata rispetto al progetto sociale, per loro davvero importante.

Rossella ci racconta che sei appartamenti sono stati affittati a sei cooperative del gruppo: "La strada" ha in gestione tre appartamenti in cu fa accoglienza di famiglie con fragilità, mentre la cooperativa "Farsi prossimo" ha due appartamenti destinata all'accoglienza di rifugiati politici Rossella rappresenta il  gestore sociale attivo di questo progetto, quindi si occupa sia della parte della commercializzazione, degli incontri con le famiglie, dell'accompagnamento sulla morosità, della soluzione dei conflitti, dell'animazione del territorio, dell'animazione della facilitazione dei rapporti, e si occupa anche della parte della relazione con il territorio, della relazione con i soggetti pubblici.

Le chiediamo di raccontarci un po’ di Share: è una esperienza commerciale, ci dice, di una cooperativa di tipo B di inserimento lavorativo che ha avuto un successo immediato. Nel primo anno di gestione avevano recuperato degli utili che hanno permesso loro di acquisire personale, e quindi di mettere nel circuito del mercato del lavoro una popolazione giovane, una popolazione fragile. "Vesti solidale" è un'attività commerciale che rimette nel circuito del mercato del consumo del cittadino abiti usati acquistati da una centrale dopo un processo di sanitarizzazione e sanificazione del prodotto. Certo avere dei negozi al piede dell’edificio che funzionano non è poca cosa anche per stimolare nel modo giusto la socialità.

Si sono fatte quasi le 20.00 fuori c’è ancora luce, ma è il momento di lasciar andare Rossella, la ringraziamo per averci aspettato e per il generoso racconto. Non siamo sicuramente riusciti ad intercettare tutta la ricchezza che Via Padova offre, ma di sicuro è stato uno dei tour più densi di stimoli e la lunghezza di questo post lo dimostra. Via Padova è un mondo in continua trasformazione, nonostante le vie difficili, e qualche problema di sicurezza, dimostra di inventarsi in continuazione sapendo coinvolgere tutte le popolazioni attive. Senza alcuna distinzione.